Descrizione
Qualcuno si potrebbe chiedere che senso e che utilità possa avere oggi la pubblicazione di un manuale di solfeggio.
Da una parte infatti si riscontra una vera e propria inflazione di testi di dimensioni piccole e grandi, datati e più recenti, a stampa e manoscritti, i quali tutti si prefiggono come scopo la preparazione dell’esame di licenza in Teoria e Solfeggio.
D’altra parte non mancano le critiche e talvolta gli attacchi pretestuosi proprio contro quella disciplina che prende il nome di “solfeggio parlato”: qualcuno ne suggerisce la definitiva eliminazione dai programmi dei Conservatori, in quanto pratica retriva, inutile se non dannosa, comunque non allineata con i programmi degli studi musicali di quei paesi che, per definizione, siamo abituati a ritenere didatticamente superiori.
Lungi dal voler assumere una posizione reazionaria, mi sembra ragionevole valutare con serenità che cosa è il solfeggio parlato e a che cosa mira, rendendoci conto invece di cosa comunque non deve mai essere.
Come già accennato in prefazione ai due volumi del Manuale di Musica, che ritengo strettamente legato alla realizzazione esatta e musicale degli esercizi contenuti nel Manuale di Solfeggio, il solfeggio parlato rappresenta un esercizio di lettura musicale che va oltre la semplice lettura ritmica; lo si può considerare un solfeggio cantato facilitato, con l’intonazione solo simbolica, un ponte tra la ritmica pura e l’esecuzione musicale vera e propria, dotata di fraseggio, respiro e di uno stretto rapporto tra ritmo e melodia.
La realizzazione dei principali abbellimenti, pur nella genericità e nella fissità delle regole di base, trova nel solfeggio parlato un utilissimo esercizio propedeutico: aldilà delle particolarità che comporta ogni diverso idioma strumentale, il “dire” l’abbellimento conduce ad una giusta pronuncia strumentale, alla esatta collocazione ritmica e alla definizione del significato musicale del singolo ornamento. Si crea così la base per una successiva specializzazione vocale e strumentale, che ovviamente contempli una maggiore libertà esecutiva e una aprirsi a stili e prassi diversi. Il problema dell’interpretazione degli abbellimenti rappresenta pertanto una campo di applicazione in cui il solfeggio parlato è insostituibile.
Il solfeggio parlato, questo “grande accusato”, soffre piuttosto del modo scorretto con cui è stato tanto tempo praticato e al quale ancora oggi si indulge. Spesso infatti il solfeggio si riduce a una scansione sillabica del testo musicale, con frazionamento dei valori della reiterazione delle vocali e distruzione sistematica di tutte le sincopi con sottolineatura vocale forzata dell’accento metrico in luogo di quello ritmico. Quand’è così si può a ragione parlare di pratica inutile e dannosa, da eliminare senz’altro.
Si raccomanda invece l’esatta pronuncia delle sillabe, con il raddoppio delle consonanti laddove si voglia ottenere la precisione nella collocazione ritmica delle note e l’efficacia dell’accentuazione.
Si ritiene indispensabile la tenuta della vocale sul fiato nei valori lunghi, senza reiterazione della vocale stessa e la corretta valorizzazione delle sincopi e di tutti gli eventi ritmici. Anche la respirazione e il fraseggio devono essere adeguati ad una esecuzione musicale, rilevando ogni qualvolta sia possibile anche i segni di articolazione, di dinamica e di agogica. Condizione essenziale a questa pratica è l’interiorizzazione della pulsazione, pur scandita attraverso il gesto della mano, che altro non è se non l’antico e modernissimo “tactus”. La funzione del Manuale di Solfeggio è quindi quella di sussidio alla preparazione delle prove di solfeggio parlato (chiave di sol e setticlavio) presenti nel programma d’esame di licenza di Teoria e Solfeggio, integrando così i due volumi del Manuale di Musica che ne rappresentano il complemento. Una tavola di raccordo appositamente predisposta suggerisce i collegamenti tra i vari volumi.